Porcellane cucite

 

 

I luoghi dell’abitare, le parole, le cose, e i discorsi del quotidiano sono da tempo oggetto della mia attività artistica e anche il tessuto e le cuciture sono diventate negli ultimi anni una costante del mio lavoro.

Le ceramiche cucite sono nate nel 2009 dalla collaborazione con una società di  ceramisti faentini. Il loro progetto era, ed è, quello di creare ogni anno almeno due piccole edizioni di piatti ideati da artisti. In quel periodo, stavo preparando un’ installazione nella Galleria Corraini di Mantova e ricamando con frasi più o meno poetiche una grande riproduzione su stoffa ( in dimensioni reali ) della mia cucina.

Inizialmente, quindi, ho pensato al piatto come una superficie sulla quale scrivere delle frasi.

Il mio progetto era quello  di un  servizio per due persone, sul quale si poteva leggere un dialogo un po’ surreale. Una  coppia  raccontava quali erano state le parole più esaltanti o banali pronunciate durante la giornata. Ho pensato anche che queste frasi potevano presentarsi leggermente a rilievo, con una filettatura dorata o in platino in cui si inciampa con la posata o che emerge a pietanza finita, ma poi ho cominciato a immaginare il piatto stesso come un contenitore non più liscio ed uniforme, ma imprevedibile e  pieno di pieghe e avvallamenti.

Per poterlo realizzare ho preso a modello alcune stoviglie di stoffa che avevo cucito tempo addietro per una installazione, quindi ho plasmato il modello in creta da cui ottenere uno stampo per colare la porcellana.. Mentre questo processo andava avanti  e si concludevano le varie fasi che avrebbero portato al  calco finale, eravamo sempre più ossessionati dal modello di stoffa e dal problema della sua riconoscibilità che si ripresentava ad ogni passaggio.

 

 

 

 

La relazione tra testo e tessuto è fin troppo nota e perciò non trovavo strano associare parole, cibo, e stoffa. Ci chiedevamo come ottenere al meglio questo effetto di mimesi tra la ceramica e la stoffa, fino a che non abbiamo constatato che le analogie tra la  porcellana, e un vero e proprio tessuto sono più numerose di quanto non si possa immaginare. Così ho provato a “movimentare” direttamente le forme già pronte e non ancora asciutte, piuttosto che plasmare  ex-novo piatti e ciotole. Di lì a sperimentare anche le cuciture, il passo è stato piuttosto breve. In astratto, l’idea  della porcellana cucita non mi sembrava particolarmente convincente. Quando gli oggetti forati sono usciti dal forno non mi sono apparsi  molto interessanti. La prima perplessità riguardava la quasi impossibilità di realizzare i pezzi con una tecnologia seriale. Temevo di ricadere in una certa retorica dell’oggetto unico. Anche se sono un’artista, capisco bene che il pezzo unico porta con se questioni semantiche assai controverse. Dopo avere cucito la prima ciotola però,  ero molto sorpresa dal risultato. Avevano un fascino misterioso, una strana e gentile secchezza. Come se l’oggetto concettualmente molto  semplice, allo stesso modo di quello ricco, reclamasse il contrappeso dell’unicità intesa come centro di gravità narrativa, e come se il filo che passava attraverso il vaso fosse già di per se  “la narrazione”.  Tutto l’oggetto sembra piegarsi sotto l’inspiegabile forza visiva della cucitura.. In seguito ho usato vasi lavorati al tornio, di forme sempre diverse, e “trafitti” da disegni o scritture di filo o da borchie metalliche. Sono convinta che la dimensione artigianale di un oggetto sia un po’ come i “token” e i “type” della lingua parlata. Credo che il cucito abbia il potere di tenere insieme soprattutto questi due opposti: ripetizione e unicità.

 

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